Anche un comportamento omissivo può trasformare il proprietario di un bene nel produttore di un rifiuto.
Nell’eventuale caso in cui debbano essere riutilizzati, tutti i rifiuti devono preventivamente
essere sottoposti a trasformazione e in quanto tali il loro disfacimento deve avvenire nel rispetto
del Codice ambientale. Questo quanto è emerso dalla sentenza della Corte di Cassazione 20
gennaio 2022, n. 2234, riguardo uno sversamento su suolo di idrocarburi provenienti da alcuni
serbatoi maltenuti all’interno di un complesso industriale di raffinazione, il quale ha causato, tra le
altre cose, l’inquinamento del sottosuolo.
La sentenza ha portato alla condanna del loro ex detentore per i due reati di inquinamento e di
gestione illecita dei residui. Gli imputati hanno asserito che tali scarti sarebbero stati trattati ai fini
del loro riutilizzo.
L’elemento soggettivo dell’illecito penale è stato classificato dai giudici come dolo eventuale,
infatti:
Inoltre si è fatto notare come lo sversamento degli idrocarburi sul suolo sia stata una conseguenza della mancata manutenzione delle tubazioni e del serbatoio; in particolare la causa è correlabile al degrado ambientale in cui versava la zona interessata dall’avvenimento.
Ma cosa accade quando l’obbligo di disfarsi sopraggiunge a causa di cambiamenti normativi
repentini?
La risposta a questa domanda è stata fornita dal Tar Campania nella sentenza del 12 gennaio
2022, n.70. E’ il caso di traversine ferroviarie contenenti “creosoto”. Tale sostanza è stata
oggetto di cambiamenti normativi che lo vedevano classificato come rifiuto pericoloso (includendo
l’impossibilità che fosse recuperato) e ne era inoltre stato vietato l’utilizzo nel processo del
rivestimento del legno. Il giudice amministrativo ha predisposto quindi l’obbligo di disfarsi di tali
sostanze poiché classificabili a priori come rifiuto avviandolo a smaltimento o recupero (art. 183,
D.Lgs. 152/2006); nello specifico, trattandosi di rifiuto pericoloso il recupero può inoltre avvenire
solo se l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porti effetti negativi significativi sull’ambiente: nel
caso in cui queste condizioni non siano dimostrabili l’obbligo ricade sullo smaltimento.
Un altro caso, affrontato invece dal Tar Lazio (sentenza del 9 novembre 2021, n.11488), è quella che riguarda l’induzione al disfarsi di un rifiuto. Nella fattispecie si tratta di un consorzio di raccolta di abiti usati sanzionato dall’Autorità garante della concorrenza. L’accusa nello specifico è stata quella di aver apposto sui cassonetti diciture che inducevano i consumatori a pensare che il loro contenuto sarebbe stato donato a fini solidaristici, quando al contrario i rifiuti venivano destinati a recupero/smaltimento. Si tratta quindi di induzione al disfacimento dei propri beni prospettando un futuro impiego degli stessi diverso da quello effettivo.
Nello schema sottostante si illustrano le nozioni scaturite dalle tre sentenze sopra descritte.