Cosa si intende con il termine straining?
Lo straining, ovvero lo stress forzato inflitto dal superiore gerarchico al lavoratore, attraverso azioni ostili e discriminatorie, è una forma attenuata di mobbing che non prevede continuità delle azioni vessatorie.
Nel momento in cui venga accertato lo straining, e non il mobbing, la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta, questo è quanto stabilito dalla Corte di cassazione con ordinanza 29101/2023.
Il caso specifico è quello di una diretta superiore di un lavoratore che aveva messo in atto nei suoi confronti una stressante modalità di controllo che da ultimo aveva generato un’animata discussione durante la quale il dipendente ebbe un attacco ischemico.
La Corte d’appello, aveva affermato tuttavia che andasse negata l’illiceità della stessa, non trattandosi di mobbing in quanto episodio isolato.
La Corte di cassazione sottolinea che «al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta… è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex articolo 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica)» (Cassazione 3291/2016).
Infine, la Suprema corte ricorda il proprio orientamento costante (tra le tante, 18164/2018) «secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle vessazioni ma sempre riconducibile all’articolo 2087 c.c., sicché se viene accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta».