Le misure di protezione collettiva devono essere adottate in via prioritaria rispetto a quelle individuali, questo è Il principio ribadito dalla Cassazione Penale nel giudizio sorto a seguito di un infortunio sul lavoro, non mortale, avvenuto in un cantiere edile in Lombardia.
Infatti, viene specificato che:
«In tema di sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota, il datore di lavoro (ai sensi
dell’art. 111, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81) è tenuto ad adottare misure di protezione collettiva in via
prioritaria rispetto a misure di protezione individuale in quanto le prime sono atte ad operare anche in
caso di omesso utilizzo da parte del lavoratore del dispositivo individuale».
Un operaio ha sfondato un lucernario in plexiglass ed è caduto a terra da un’altezza di quattro metri mentre montava delle guaine sul tetto di un capannone, riportando varie fratture che gli sono costate un anno di fermo lavorativo. Il lavoratore non aveva alcuna inbragatura o cintura mentre l’edificio aveva dei parapetti sul perimetro esterno e una linea vita per i lavoratori; misure giudicate insufficienti dai giudici e inadatte a limitare al minimo il rischio di caduta dall’alto.
«In particolare - si legge nella pronuncia della Cassazione n.48046/2023 - il Tribunale ha ritenuto antidoverosa la priorità accordata all’attuazione di mezzi di sicurezza individuali anziché, come prescritto, di misure di protezione collettiva; nella specie sarebbe stato possibile elidere il rischio di caduta mediante la predisposizione di reti di sicurezza sottostanti ai lucernari, l’applicazione di parapetti provvisori e l’eventuale utilizzo di ponteggi».
La priorità e la preferenza date dal legislatore ai sistemi di protezione collettivi, ricordano i giudici, trovano la loro ratio «nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti a operare indipendentemente dal fatto, e a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale».